Carissimi, amatissimi fratelli e sorelle, era il pomeriggio del 22 luglio del 2006 e i miei piedi giungevano alle porte di questa Chiesa: dapprima nel territorio di Spezzano, primo paese della diocesi, e poi, finalmente, si fermavano alle porte di questa stupenda Cattedrale. Quel giorno, ve lo confesso, provai una gioia simile a quella che descrive il salmista: la gioia unica e caratteristica del pellegrino che arriva Dice che solo i piccoli possono cantare la grandezza del Signore. E dialla Città Santa, a Gerusalemme, alla Casa del Signore. Era la gioia di essere a casa, una casa che Dio mi aveva dato ma che era Sua, nella quale Lo trovavo ad attendermi. Attorno e dentro, c’erano ancora tante porte spalancate, quelle dei vostri cuori; e c’era il mio, di cuore, che, da quel giorno, cambiava per sempre. Esso si spalancava sulla porta di una gioia nuova, carica di responsabilità ma anche della certezza che tutto era da Dio. «Tu pascerai il mio popolo» (2Sam 5,2): me lo sentivo dire, come Davide nella prima Lettura, e come Davide, il più piccolo che diventa re, anch’io mi sentivo inadeguato, consapevole che il compito mi superava immensamente. Ma, varcando questa porta, sentivo che anche la gioia mi superava: perché la gioia del ministero ci sovrasta, è sempre più grande di noi. Sì, quella gioia nuova era il senso del mio episcopato ed era il senso del Magnificat, mio motto episcopale. Come Davide, infatti, anche Maria è piccola e sa di esserlo: ma non dice «no» a Dio, dice: «Magnificat». ce che ci sono grandezze di Dio alle quali non arrivano le doti o capacità umane: arriva solo la gioia! Ma qual era questa grandezza? Quale questa gioia? «Tu pascerai il mio popolo»! Lo intuii immediatamente quel giorno ma oggi lo posso confermare con forza: il Suo popolo, questo popolo è stato la mia gioia. Sì, voi siete stati il mio Magnificat! Un Magnificat che ho cantato sempre con immensa, sconfinata gratitudine e con tutto l’amore di cui ero e sono capace. «Questa chiamata del Signore mi raggiunge mentre, con l’amore del primo giorno, vivo da sette anni il mio ministero di vescovo della diocesi di Rossano – Cariati, sperimentando per Grazia di Dio, anche nei momenti più difficili e impegnativi, la gioia di offrire tutta la vita al servizio della Chiesa, Sposa di Cristo e nostra Sposa»: l’ho scritto a Papa Francesco nella Lettera di accettazione della Nomina a Ordinario Militare. Ed è proprio così che il Signore mi ha concesso di servire, di offrire, di vivere in questi splendidi anni per questa Chiesa Sposa: con l’amore del primo giorno! Un amore che certamente è cresciuto giorno dopo giorno, istante dopo istante: si è arricchito di esperienze, si è identificato con i vostri volti, le vostre storie, le vostre vite, che ho portato veramente nel cuore e nel grembo della mia paternità. Ma un amore che ha mantenuto impresso, in tutto questo, la freschezza e il mistero di quel primo Sguardo di Dio che mi ha fatto intimamente uno con voi. Voi, uno per uno: quante persone meravigliose ho incontrato! Voi, popolo! E se dovessi lasciarvi una parola perché vi rimanga incisa in cuore, quasi come sigillo di questi stupendi anni, è proprio questa: popolo! La coscienza di essere popolo di Dio, di essere Chiesa. Una Chiesa che vorrei salutare e ringraziare dal profondo del cuore, assieme a tutte le autorità civili e militari che, questa sera, hanno voluto onorarci della loro presenza.Il primo grato saluto èper voi: Ringrazio il Prefetto, il Questore, le autorità politiche, civili e militari presenti. Ringrazio voi carissimi Sindaci, Amministrazioni comunali presenti e passate, della diocesi di Rossano-Cariati. Ringrazio il signor Sindaco di Rossano, per il saluto rivolto a nome di tutti; ringrazio per il dono che avete voluto farmi; evi ringrazio per tutte le volte che, con grande determinazione, abbiamo collaborato per il bene comune del nostro meraviglioso territorio e della nostra gente, assieme a tanti uomini di cultura e persone di buona volontà, per fare bella la città dell’uomo nella giustizia, nella solidarietà, nell’amore. Ma il grazie più affettuoso a voi, amatissimi sacerdoti, assieme ai cari seminaristi. Per tutti ringrazio commosso il caro Monsignor Antonio De Simone, per le parole intense, segno della sua vicinanza e del sostegno di vicario generale, per me prezioso e insostituibile. Vi ho amato profondamente, con tutto me stesso, e con ciascuno ho cercato, in questi anni, di stringere e rafforzare quel legame personale senza il quale non ci può essere piena collaborazione. Ho conosciuto e portato in me le gioie e le fatiche del vostro ministero, ringraziando ogni giorno Dio per il bel presbiterio che ha voluto concedermi. Questo amore che Dio ci ha donato, niente lo potrà cancellare. Sarete sempre nel mio cuore. Anche per voi diaconi, religiosi, persone consacrate, ho davvero benedetto il Signore: per i tanti doni, carismi, servizi che, in questa diocesi, ha portato con sé il dono della vita consacrata, integrandosi appieno nella comunione ecclesiale. Una comunione che pure voi, cari laici, avete potuto toccare con mano: gruppi, movimenti, associazioni… siete dono dello Spirito Santo e, grazie allo Spirito, avete imparato a lavorare insieme, arrivando a quelle periferie esistenziali e umane che solo voi potete raggiungere. Ricordo in particolare voi famiglie: con la vostra fede e pazienza, col sacrificio concreto e semplice del quotidiano, mi avete insegnato il segreto della paternità. E affido a Dio voi, ammalati nel corpo o sfiniti da ogni genere di prove; voi poveri perché senza denaro, senza cibo o senza nessuno; voi stranieri che portate la povertà di aver lasciato la vostra terra senza, a volte, essere adeguatamente accolti; voi carcerati, ai quali ho già voluto scrivere personalmente… Ho sentito, fin dal primo giorno, che tutti voi sofferenti sostenevate il mio ministero e portavate avanti questa Chiesa con la misteriosa forza che viene dalla sofferenza offerta, che si fa amore e preghiera. E abbraccio voi bambini, ragazzi e giovani: quante esperienze stupende, a partire dall’annuale Festa dei Giovani, che certo il Signore lascerà impresse nella vostra crescita umana e spirituale. Ma quanta tristezza per i giovani che ho visto perdersi nelle strade, alla ricerca di beni futili e provvisori, a volte trovando anche la morte per sfidare la vita. E allora vi prego, ancora una volta: siate voi giovani a contagiare i vostri coetanei, con quel “profumo di Cristo” che la vostra vita può e deve portare! Cari amici, insieme abbiamo fatto una stupenda esperienza di Chiesa. Insieme, abbiamo imparato ad amare la Chiesa. Insieme, abbiamo imparato a essere Chiesa. E, da pastore, io ho visto crescere questa Chiesa; l’ho vista avvicinarsi al Signore, con passo a volte celere, a volte più rallentato ma sempre, sempre con lo sguardo fisso a Lui. Ho sentito che questa Chiesa aveva davvero accolto il grido della mia prima Lettera Pastorale: «Cercate il Signore» È un grido che non posso non ripetere adesso ed è grido che la stessa Liturgia ci fa sgorgare dal cuore, nella Solennità che oggi celebriamo: Cristo, Re dell’Universo. In questo Anno Liturgico, il Vangelo (Lc 23,35-43) ci mette dinanzi a Gesù che è Re perché sta in Croce, è Re perché non scende dalla Croce, è Re perché, sulla Croce, si fa vicino a tutti i crocifissi, i peccatori. Non “si salva” – come altri lo sfidano a fare per mostrare la Sua potenza – ma “ci salva”! E, nel racconto evangelico, il “buon ladrone” lo capisce, intuisce la grandezza di una salvezza che non avrebbe mai immaginato e che, pur se alla fine della vita, comincia ad assaporare, a desiderare, mendicando da Gesù di essere ricordato nel futuro di quel Regno d’amore che intravede. Ma Gesù – e questo è bellissimo – non rimanda al futuro, dice: «Oggi con me sarai nel paradiso»! Oggi, subito: l’Amore di Gesù è “urgente”. Così, colui che era stato un malfattore si sente finalmente amato, proprio dalla Croce e sulla croce.Mi colpisce, meditando questa Parola di Dio, pensare che, per così dire, come “ultimo atto” del nostro cammino insieme, il Signore ci abbia donato di iniziare l’Anno della Missione, affidandoci quell’«amore urgente» al quale ci ha naturalmente condotti l’Anno della Fede. E credo che l’Icona del “buon ladrone” crocifisso, che oggi la Festa di Cristo Re ci consegna, racchiuda il cuore di questo amore. Il grido, dunque, si trasforma: cercate il Signore nei crocifissi e non lasciate che restino senza questo amore! Non lasciate che i crocifissi della storia, in questa terra e in questa diocesi, nelle vostre famiglie e nelle comunità, tra i vostri amici o i nemici… rimangano soli sulla croce, senza poter intuire l’amore o sfiorare la salvezza! È questo il cuore della missione; ed è Gesù che, oggi, ce lo chiede, con l’autorità di un Re Crocifisso dall’amore. Penso ancora al giorno di inizio del mio ministero quando, alla porta di questa Chiesa Cattedrale, baciai il Crocifisso. Pian piano, ho capito sempre meglio e sempre più in profondità cosa questo gesto significasse. Significa imparare a baciare tutti i poveri e crocifissi, nei quali il Signore continuamente si presenta e si rivela.
Significa lasciarsi baciare e convertire ogni giorno - ama ripeterlo Papa Francesco - dalla carne sofferente di Cristo. Ma significa anche essere consapevoli che, dalla Croce, Cristo guida la storia perché la Croce stessa è sorgente di vita, è all’origine di improvvise novità, è fonte di tanti doni che possiamo toccare con mano e che siamo chiamati a contemplare e custodire. Come ha detto Paolo nella seconda Lettura, «Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono»(Col 1,17): sono Suoi, sono da Lui, sono dalla Sua Croce, dunque, i tanti doni che ho raccolto in questo ministero tra voi; le tante opere che, assieme, abbiamo potuto iniziare o rinnovare, per rendere sempre più viva la pastorale della nostra Chiesa, e che vi chiedo con forza di non abbandonare: il rinnovamento della Curia e degli Uffici diocesani; la Liturgia e la Catechesi, rinate in molte comunità e nella Scuola di teologia; la Carità, con le mense Caritas e l’accoglienza degli stranieri; il Seminario e tutta la pastorale vocazionale, da cui dipende il futuro di una Chiesa; la pastorale della vita, con il Centro e la Casa per ragazze madri; la pastorale dei giovani e del lavoro; la pastorale della cultura e della comunicazione, con il giornale Camminare insieme. E, soprattutto, la preghiera: la Scuola di Preghiera, l’Adorazione Eucaristica perpetua, il Monastero delle Clarisse e il dono della nuova Fondazione delle Monache Agostiniane, che ha bisogno del sostegno di tutti e che tutti ci sostiene… Sì, Cristo Re ha guidato la nostra storia e ci ha riempito dei Suoi doni, consegnandoceli con fiducia. Ed è commovente come, proprio in questi ultimi giorni, Egli abbia voluto dare compimento ad alcune opere iniziate, ponendo ancora un segno della Sua fedeltà e benedizione. Penso, con meraviglia, al piccolo “miracolo” accaduto con il Codex Purpureus, al momento in restauro presso l’Istituto di Patologia del Libro del Ministero dei Beni Culturali, che è in attesa di ricevere il riconoscimento UNESCO di “patrimonio dell’umanità”, per iniziativa dello stesso Ministero, del Pontificio Consiglio per la cultura, del Governo Italiano, nonché della Presidenza della Repubblica. E proprio il Presidente Napolitano ha voluto mostrare il Codex a Papa Francesco, in visita al Quirinale il 14 novembre scorso: questo prezioso tesoro artistico è diventato, così, davvero famoso in tutto il mondo e aspetta, una volta pronto, di essere accolto all’interno del Museo diocesano di Rossano che verrà, mi auguro presto, restaurato. E penso pure, con grande stupore, agli Atti della Causa di Beatificazione di don Alessandro Vitetti, il cui Decreto di validità degli Atti è stato firmato dalla Congregazione per le Cause dei Santi il 22 novembre, quindi proprio due giorni fa! Sì, Cristo è Re della storia e la guida fino alla fine, portando a pieno compimento le opere che Egli ispira, l’opera che ha iniziato in noi: «È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza» (Col 1,19), conclude Paolo. È quanto ha sperimentato il buon ladrone, la cui morte è stata veramente una pienezza di vita. E come al buon ladrone, come a don Vitetti, Gesù ci dice che la pienezza della Sua opera in noi, il segreto e il desiderio della Sua regalità stanno nel renderci «capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (Col 1,12), stanno nella santità! Carissimi fratelli e sorelle, un anno fa Benedetto XVI, iniziando l’Anno della Fede, varcava quella “porta” da cui oggi Papa Francesco è uscito, a chiusura del tempo di grazia che è stato questo Anno; porta da cui pure noi usciremo, concludendo un tempo di grazia che, per Provvidenziale disposizione, si compie proprio mentre si chiude l’Anno della fede. Torna ancora al cuore il Salmo: «Quale gioia, quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore!” Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!». Questa gioia è la gioia della fede! E, mentre usciamo da questa porta, sentiamo che questa è la gioia vissuta insieme nella quale sempre ci troveremo in comunione. Non lo dimenticate: nella Chiesa, come mi sono sforzato di ripetere senza sosta, non ci sono particolarismi, perché la Chiesa di Cristo è una. Questa è la Sua bellezza. Questa la forza della comunione che ci viene dall’essere Chiesa e della quale, talora proprio nei momenti di separazione, si percepisce con più forza la realtà. Per il dono di questa comunione, siate certi di essere nel cuore della mia preghiera: a partire dall’amore del primo giorno, a partire dal primo Magnificat. Chiesa di Rossano – Cariati, grazie! Tu sei la Chiesa che mi ha reso sposo, mi ha reso vescovo. Tu sei stata il mio Magnificat! Per intercessione di Maria, nostra amatissima Madre Achiropita, chiedo al Padre di colmarTi della Sua tenerezza, dei Suoi doni, del dono della santità. E, con tutto il cuore, tutti vi benedico. Pregate tanto per me. E così sia!
† Santo Marcianò